ASTRATTI FURORI


ASTRATTI FURORI



...e tra marionette e burattinai
sentire ancora di poter tornare ad essere umani
senza più alcun filo, 
liberi di tornare alla propria verità
senza più catene
ritessere la tela che ci vede
essere uomini e donne,
di furori antichi e nuovi
ancora in un nuovo scenario
di assetate vesti rivelato


Cristina @ world of creation 2014



Nel primo capitolo di Conversazione in Sicilia il protagonista, Silvestro, 
esprime tutta la sua indifferenza e insofferenza nei confronti della vita e
 del “genere umano perduto”. 
Descrive il suo stato d’animo in preda ad “astratti furori” ed in particolare parla della “quiete nella non-speranza”: l’impossibilità di reagire e di trovare “nuovi doveri”  in cui credere e per cui combattere. 
Da qui scaturisce l’idea del ritorno nei luoghi della sua infanzia, inteso come viaggio interiore alla ricerca di valori diversi, di una rigenerazione partendo dalle radici. ..


Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori [1] . Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti [2] e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe [3] , e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. 
Credere il genere umano perduto [4] e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso; e uscire a vedere gli amici, gli altri, o restare in casa era per me lo stesso [5] . Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo che cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffè, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un'infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne [6] ; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l'acqua mi entrava nelle scarpe.

"Conversazione in Sicilia", di Elio Vittorini
scrittore e intellettuale nato a Siracusa nel 1908, ma vissuto poi a Firenze e Milano, scrisse tra l’altro, l’antologia Americana nel 1941, Uomini e no nel 1945, diresse le riviste “Politecnico” (che inizia le pubblicazioni nel 1945) e “Menabò” con Calvino (1959-1967), morì a Milano nel 1966.

da www.vittorininet.it/supporto/elio/conversazione_I.htm

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